Giardino formale, Castelfranco Emilia (MO) - Emilia-Romagna
Indirizzo | via Pieve, 50 Loc. Panzano Castelfranco Emilia (MO) - Emilia-Romagna | Accessibilità | sì - aperto al pubblico | |
Telefono | + 39 059 959211 | Orari apertura | tutto l’anno, alba-tramonto; per il giardino all’inglese solo visite guidate, aprile-ottobre, domenica e i giorni festivi, al pomeriggio | |
Costo ingresso | gratuito | |||
villasorra@villasorra.it | ||||
Sito Web | Villa Sorra |
Uno scenografico giardino formale è quello della residenza progettata dall’architetto bolognese Giuseppe Antonio Torri all’inizio del Settecento, perno di una tenuta che si estende su un’area di circa 17 ettari. Straordinaria testimonianza di un articolato sistema costituito dalla residenza dominicale, dal parco e dalle strutture di servizio, posto nella campagna tra Gaggio e Panzano, in un territorio pianeggiante tuttora ad economia agricola, il giardino era parte essenziale del vivere la «casa da padroni, per necessario commodo di villeggiare», ossia la villa che Antonio Sorra, primo proprietario, creò al centro di quegli estesi possedimenti familiari tenuti a colture diverse. Questo stretto legame che unisce la tenuta alla villa e al giardino si cala in un particolare contesto territoriale all’interno del quale il giardino penetra, coinvolgendola, nella fertile campagna circostante senza cesure. L’asse principale si sviluppa da ovest a est, quale proseguimento di una direttrice che da Gaggio, mediante il viale di accesso detto Cavedagnone, giunge alla villa e la attraversa spartendola. Alla direttrice est-ovest e a quelle ad essa perpendicolari si allineano i viali, le fosse d’acqua del giardino e gli stradelli interpoderali in un rapporto che ancora oggi testimonia l’antico tracciato del reticolo romano. Le fonti ricordano che il palazzo dominicale sorgeva al centro di un prato «attorniato da siepi e piante di frutta diverse», arricchito da un giardino posto a levante «che si orna con vasi d’agrumi», acque e fossati «con due battelli, o siano barchini per andare a diporto». L’area a viali, prato e frutteto, e quella del giardino a est della villa, con una parte divisa in «quattro quadri ad uso di orto», il bosco composto di varie piante, la «vasca adibita a peschiera», la montagnola e «le isole» sono rappresentate nelle sei belle tempere (1730-40) che ornano la «camera dipinta a giardino» e rappresentano con fedeltà la fisionomia della villa e del giardino settecentesco. Sieponi a parete, di carpino o bosso, costituivano vere e proprie cortine di verde che spartivano la zona iniziale in quattro grandi riquadri, nascondendo le parti interne ad orto; al centro di questa spartizione l’architettura delle cortine di verde si arricchisce di nicchioni e cupole. Il secondo nucleo del giardino gravita attorno alla peschiera; nell’ultimo nucleo le tre isole erano collegate da ponti in legno. La tenuta vive l’ultima fase di vitalità con la volitiva consorte del conte Cristoforo Munarini Sorra, la marchesa Ippolita Levizzani che, a partire dal 1827, avvia i lavori di trasformazione del giardino formale in giardino all’inglese e lo arreda con gli elementi più alla moda: il kaffeehaus e gli scherzi d’acqua, la statua della dea Flora, le rovine pseudomedievali. Il ridisegno è opera del friulano Giovanni de Brignoli di Brünnhoff, all’epoca direttore dell’Orto Botanico di Modena. Nella parte più vicina alla villa viene però mantenuta l’originaria divisione a parterre a prato, con percorsi rettilinei al cui incrocio permane la vasca ovale della vecchia peschiera; si mantiene anche la delimitazione perimetrale dei corsi d’acqua navigabili. Un giardino ‘misto’, dunque, quello voluto da Ippolita, all’interno del quale sono compresenti giardino, orto, bosco, montagnola, le oltre 300 piante, anche esotiche, menzionate in un inventario del 1841 e ospitate nella serra neogotica, tuttora esistente, «ad undici ampie arcate a sestacuto», costruita dall’ingegnere bolognese Cesare Perdisa (1842).